Al prossimo G8, in Sardegna, il Presidente del Consiglio porterà sul tavolo "una proposta di regolamentazione di Internet in tutto il mondo".Su questa materia intendo presentare un'interrogazione per capire cosa andrà a dire.Internet non ha bisogno di censure e tanto meno di regolamentazioni, perché per sua natura si autoregola.
Evidentemente ha una concezione proprietaria di tutti i sistemi di comunicazione e immagina un sistema di norme concepito in analogia con quanto avviene per qualunque testata. Tuttavia, con Internet non è così: non c'è uno spazio, un luogo in senso classico dove esercitare una forma di pressione o di condizionamento. Soprattutto, non funziona, è una forma libertaria di comunicazione.Il grande tema delle regole su Internet, che ci sono e di cui si dibatte è quello di come garantirsi nei confronti dei reati più gravi, come pedofilia e terrorismo, ma non è certo quello di mettere bavagli o censure: sarebbe politicamente grave oltre che tecnicamente impossibile.
L'impossibilità si esplica nello sciopero virtuale dei cibernauti, che già nei loro blog, siti e spazi "liberi" fanno a gara per esprimere pareri, timori e paure nei confronti di una regolamentazione inconcepibile per quelli che Derrick de Kerckhove definisce i Digital Natives.
I Nati Digitali non affidano più i loro segreti al diario: li condividono con gli altri attraverso la pubblicazione di se stessi su siti come MySpace. Pubblicano tutto: gusti, paure, amici, speranze. Obama è entrato in connessione mondiale, attraverso siti come facebook; ha presentando la sua campagna sotto forma virtuale facendo di internet uno strumento più evoluto di democrazia.
Perché regolamentare l'autoregolamentabile?Insomma, il Presidente del Consiglio si deve mettere una mano sulla coscienza: non si può telefonare ad internet come fa ad Emilio Fede.
Vincenzo Vita
Senatore Pd, membro Commissione cultura e commissione Vigilanza.
Aprile online 05 dicembre 2008,
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