domenica 21 giugno 2009

Referendum ed altro

Quorum addio. Urne chiuse, in tutta Italia per i tre referendum sulla legge elettorale. Ha votato poco più del 16 per cento. Perché la consultazione sia valida, sarebbe necessario che lunedì mattina andasse a votare il 33/34 degli aventi diritto. Obiettivo praticamente irraggiungibile. Alle 22, dunque, a 14 ore dall'apertura dei seggi, l'affluenza è del 16,4% per il primo quesito, del 16,4% per il secondo e del 16,7% per il terzo. Ancora una volta, come succede con regolarita dal 1995, gli italiani non concedono il quorum al referendum.
L'imperatore-caimano subisce duri colpi alla propria credibilità ed al proprio spessore umano, politico e morale. Il referendum Segni viene bocciato dagli italiani. E' giunto il momento, per il centro-sinistra, di compattarsi e rendersi credibile come forza di governo che sappia cambiare questo Paese senza debolezze, ambiguità o conflittualità. Massimo D'Alema ha ragione in ciò. Credo che la politica, oggi debba essere fatta assumendosi la responsabilità del bene del Paese e dei più deboli. A tal fine il centro-sinistra dovrebbe avere un progetto serio e condiviso e non dovrebbe essere frammentato e disgregato come è attualmente. L'idea di Bertinotti di avere un unico partito del centro-sinistra è affascinante, ma ritengo sia irrealizzabile nel breve termine. Tuttavia ritengo che le forze coalizzate sotto il simbolo di Sinistra e Libertà, ma anche i radicali, dovrebbero volare alto senza velleità di presunte identità. Se SL, in particolare, decidesse di condizionare dall'interno le politiche del PD, sarebbe un ottimo punto di partenza per la Sinistra e per il Paese.

RIFIUTI: ARRA DISPONE COMMISSARIAMENTO PER TRE ATO

PALERMO (ITALPRESS) - Il presidente dell'Agenzia Regionale per i Rifiuti e le Acque (Arra) ha disposto l'invio di propri funzionari in qualita' di commissari ad acta presso tre societa' d'ambito. "Cio' - si legge in una nota dell'Arra - al fine di verificarne le condizioni finanziarie ed individuare le soluzioni piu' idonee per garantire la continuita' del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani, in attuazione delle disposizioni contenute nell'articolo 61 della legge Finanziaria della Regione 2009". Giorgio D'Angelo e' stato inviato presso la societa' Coinres, Alberto Pulizzi alla "Simeto Ambiente" e Guido Rubino per "EnnaUno". Tutti e tre sono dirigenti dell'Arra. Sono in corso, inoltre, delle verifiche finalizzate ad accertare lo stato di crisi di altre societa' d'ambito, che, potrebbero portare all'invio di altri commissari ad acta. (ITALPRESS). npl/com 19-Giu-09 20:01 NNNN

Rifiuti in Sicilia. Le prospettive di un affare da cinque miliardi di euro.


L’accelerazione impressa dalle sedi regionali nella partita dei rifiuti è sintomatica. È arrivata per certi versi imprevista, dopo anni di gioco apparentemente fermo, a seguito della decisione assunta nel 2006 dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea di annullare le aggiudicazioni dei quattro mega inceneritori, avvenute nel 2003. Si è cercato di prendere tempo, per rimettere ordine nell’affare, che ha visto in campo cordate economiche di spessore, eterogenee ma bene amalgamate. Si è interloquito con le società interessate per concordare il rimborso dei danni, stabiliti in ultimo nella cifra, iperbolica, di 200 milioni di euro. Adesso è arrivato l’annuncio delle nuove gare, mosse paradossalmente dagli alti burocrati che hanno organizzato le precedenti: dai medesimi quindi che sono stati censurati dalla UE per le irregolarità rilevate nella vicenda. Come è nelle consuetudini, esistono ipoteche, parole date, assetti da cui non è agevole prescindere. Si registra comunque un aggiornamento, non da poco: gli inceneritori da realizzare saranno tre, a Bellolampo, Augusta e Campofranco. Si è deciso quindi di rinunciare al quarto, che sarebbe dovuto sorgere a Paternò, in area etnea. Le responsabilità sono state fatte ricadere sulla compagine aggiudicataria Sicil Power, che secondo l’avvocato Felice Crosta, presidente dell’Arra, avrebbe indugiato troppo dinanzi alle richieste della parte pubblica. In realtà tutto lascia ritenere che si sia trattato di un primo rendiconto, nell’intimo della maggioranza e delle aree economiche di riferimento, mentre si opera per disincentivare la protesta che ha percorso l’isola dagli inizi del decennio. Si è fatto il possibile, evidentemente, per rispettare i termini imposti dalla Ue, perché non si perdessero i contributi, per diverse centinaia di milioni di euro, che la medesima ha destinato al piano rifiuti dell’isola. In quanto sta avvenendo si scorge nondimeno un ulteriore tempismo, che richiede una definizione. Tutto riparte dopo l’anno zero dell’emergenza di Napoli, a margine quindi di una rivolta sedata, ma probabilmente solo differita, che ha permesso di saggiare comunque un preciso modello di democrazia autoritaria, sostenuto da leggi ad hoc e da un particolare piglio sul terreno, tipicamente militare. Tutto riparte altresì quando l’allarme rifiuti è già al rosso non solo in Sicilia ma in numerose aree della penisola: quando s’impone quindi una risposta conclusiva, a livello generale, che, come nel caso di Napoli, si possa spendere dalla prospettiva del consenso. In tali sequenze si possono ravvisare allora delle logiche, che comunque vanno poste in relazione con alcuni dati di fatto, ma soprattutto con una serie di numeri. In Italia funzionano 52 inceneritori, che trattano ogni anno circa 4 milioni di tonnellate di rifiuti: il 15 per cento di quelli complessivi. In Sicilia ne sorgeranno appunto tre, che, come previsto nei bandi di gara del 2003 e in quelli odierni, fatto salvo ovviamente l’impianto di Paternò, cui si è rinunciato, saranno capaci di trattare 1,86 milioni di tonnellate di rifiuti, pari quindi a quasi la metà di quelli che vengono inceneriti lungo tutta la penisola. In particolare: l’impianto di Bellolampo avrà una capacità di lavorazione di 780 mila tonnellate di rifiuti annui; quello di Campofranco, di 680 mila; quello di Augusta, di 400 mila. Si tratta di numeri significativi. I tre inceneritori siciliani risulteranno infatti fra i più grandi dell’intera Europa, insieme con quello di Brescia, che tratta 750 mila tonnellate di rifiuti, e con quello di Rotterdam, che ne lavora 700 mila. I conti tuttavia non tornano, tanto più se si considera che i rifiuti siciliani da termovalorizzare, al netto cioè di quelli da riciclare attraverso la raccolta differenziata e altro, non dovrebbero superare, secondo le stime ottimali, le 600 mila tonnellate. È beninteso nell’interesse delle società aggiudicatarie far lavorare gli impianti il più possibile. Ma a redigere i bandi di gara è stato e rimane un soggetto pubblico, tenuto al rispetto dell’interesse generale, delle leggi italiane, delle direttive europee, e che, comunque, non può prescindere, oggi, da taluni orientamenti del governo nazionale. In sostanza, i numeri bastano a dire che già nel 2003, quando il governo Berlusconi poteva godere dell’osservanza stretta di Salvatore Cuffaro, presidente della giunta regionale, si aveva un’idea composita dei mega impianti che erano stati studiati per la Sicilia. E se non fosse intervenuta la Ue, quando Romano Prodi aveva riguadagnato il governo, l’operazione rifiuti, nei modi in cui era stata congegnata, sarebbe oggi alla svolta conclusiva, a dispetto delle problematiche ambientali e dell’interesse delle popolazioni. Con l’avvento dell’autonomista Raffaele Lombardo il gioco si è fatto più mosso. Le cronache vanno registrando sussulti di un qualche rilievo nel seno stesso della maggioranza. Ben si comprende tuttavia che se ieri l’affare accendeva motivazioni forti, oggi diventa imprescindibile, sullo sfondo di un potere politico che, dopo Napoli appunto, sempre più va lanciandosi in politiche che per decenni la comune sensibilità aveva reso impraticabili. Il proposito delle centrali nucleari costituisce del resto l’emblema di un modo d’essere. Esistono in realtà le premesse perché la linea dei termovalorizzatori, a partire dalla Campania, dove sono in costruzione quattro impianti, passi con ampiezza, a dispetto delle restrizioni sancite in sede comunitaria. In particolare, tutto è stato fatto, in un anno di governo, perché l’affare risulti allettante. Se il ministro dell’Ambiente del governo Prodi, a seguito di una procedura d’infrazione dell’Unione Europea, aveva annullato infatti il “Cip6”, nel quadro dei contributi concessi alla produzione di energie rinnovabili, il ripristino e la maggiorazione del medesimo, nei mesi scorsi, offre alle imprese del campo ulteriori sicurezze. In aggiunta, con la finanziaria 2009, tale contributo viene esteso a tutti gli impianti autorizzati, inclusi quelli che indugiano ancora sulla carta. In tale quadro, l’affare siciliano insiste a recare comunque caratteri distinti. Alcuni dati recenti della Campania, epicentro dell’emergenza italiana, lo comprovano. Gl’inceneritori che stanno sorgendo ad Acerra, Napoli, Salerno e Santa Maria La Fossa, potranno trattare, insieme, rifiuti per un massimo annuo di un milione e 200 mila tonnellate. I tre siciliani, come si diceva, potranno lavorarne poco meno di due milioni. Questo significa allora che l’isola è destinata a far fronte alle emergenze che sempre più si paventano in altre aree del paese? Alla luce di tutto, propositi del genere sono più che supponibili. Se tutto andrà in porto, non potranno mancare, in ogni caso, le occasioni e le ragioni per far lavorare gli inceneritori a pieno regime. Sulla base di logiche che non hanno alcun riscontro in altri paesi del mondo, si prevede infatti che possano essere trattati nell’isola fino all’85 per cento dei rifiuti siciliani, con esiti ovvi. A fronte dei progressi tecnologici, di cui pure si prende atto, la nocività dei termovalorizzatori viene riconosciuta a tutti i livelli, a partire dalla Ue, che suggerisce impianti di dimensioni piccole e medie, tanto più in prossimità degli abitati. Viene ritenuto esemplare in tal senso quello di Vienna, allocato nel quartiere periferico di Spittelau, che può trattare fino a 250 mila tonnellate di rifiuti. Sono ipotizzabili allora i danni che potranno derivare dagli inceneritori siciliani: da quello di Campofranco che, tre volte più grande di quello viennese, dovrebbe sorgere ad appena un chilometro dall’abitato, a quello di Augusta che, uguale per dimensioni all’impianto di Parigi, non potrà che aggravare, come denunciano da anni le popolazioni, lo stato di un’area già fortemente colpita dalle scorie petrolchimiche. Ma tutto questo rimane ininfluente. Il secondo tempo della partita siciliana significa ovviamente tante cose. Dalla prospettiva propriamente politica, è in gioco il potere. Sul terreno dei rifiuti, oltre che delle risorse idriche e delle energie, andranno facendosi infatti gli assetti regionali dei prossimi decenni. L’affare è destinato altresì a pesare sul contratto che va ridefinendosi fra Palermo e Roma, fra l’interesse autonomistico in versione Lombardo e quello di un potere centrale che intende mettere mano alla Costituzione come mai in passato. La presenza insistente del presidente regionale presso le sedi governative, danno peraltro conto di affinità sostanziali, di una interlocuzione produttiva. È comunque sul piano degli interessi materiali che si condensa maggiormente il senso dell’affare. La posta in palio rimane senza precedenti: circa 5 miliardi di euro in un ventennio, fra fondi governativi e comunitari. In via ufficiale, ovviamente, ogni decisione è aperta. Ma nei fatti, è realmente così? È possibile che si prescinda del tutto dai solchi tracciati dalle gare del 2003? Sin dagli esordi, la storia ha presentato un profilo mosso. Come era prevedibile, è sceso in campo il top dell’industria italiana dell’energia. Senza difficoltà gli appalti degli inceneritori di Bellolampo, Campofranco e Augusta sono andati infatti a tre gruppi d’imprese, rispettivamente Pea, Platani e Tifeo, guidati da società del gruppo Falck. Nel secondo si è inserita altresì, con una quota di riguardo, Enel Produzione. E la cosa darebbe poco da riflettere se non fosse per il piglio particolare con cui tale società veniva amministrata, allora, da Antonino Craparotta, destinato a finire in disgrazia per l’emergere di una storia di capitali extracontabili, alla volta di paesi arabi. Ancora senza alcun ostacolo, come da consuetudine, la quarta aggiudicazione, per l’impianto di Paternò, è andata a Sicil Power, un raggruppamento di diversa caratura, guidato da Waste Italia: quello che adesso, significativamente, con la rinuncia all’inceneritore etneo, sembra essere finito fuori gioco. Sono comunque altre presenze, discrete e nondimeno importanti, a rivelare i toni della vicenda. Il posizionamento rapido della famiglia Pisante, presente nelle cronache giudiziarie sin dai tempi di “Mani pulite”, e del gruppo Gulino di Enna nelle quattro compagini aggiudicatarie, attraverso la Emit e l’Altecoen, è al riguardo paradigmatico. Come tale è stato percepito del resto, sin dai primi tempi, da alcune procure, che hanno lanciato l’allarme inceneritori, e dalla stessa Corte dei Conti siciliana, intervenuta sul caso con perentorietà. A gare concluse, sono emersi, come è noto, degli inconvenienti, che hanno costretto l’imprenditore ennese, reduce con i Pisante della vicenda di MessinAmbiente, finita in scandalo, a farsi da parte, con la cessione di quote che gli hanno fruttato diversi milioni di euro. I termini della questione rimangono però intatti. Si è aperta una contrattazione. Interessi di varia portata sono diventati compatibili. È stato tenuto debitamente conto delle tradizioni. Il gruppo pugliese infine, senza alcun pregiudizio, è rimasto in gioco. Tutto questo costituisce però solo un aspetto della storia. Si sono avuti infatti ingressi ancor più discreti, per certi versi invisibili, al confine comunque fra l’economia e la politica. È il caso della Pianimpianti: nota società di Milano amministrata dal calabrese Roberto Mercuri. Attiva in numerose aree della penisola e all’estero nell’impiantistica per l’ambiente, tale impresa ha potuto godere di un inserimento strategico nel sistema degli appalti calabresi: in quelli dei depuratori in particolare, che hanno mosso circa 800 milioni di euro. Ha manifestato altresì dei punti di contatto oggettivi con l’Udc, essendone stato vice presidente l’ex parlamentare parmigiano Franco Bonferroni, amico di Pier Ferdinando Casini, ma soprattutto legatissimo a Lorenzo Cesa, attuale segretario nazionale del partito. Per tali ragioni, ritenuta cardinale negli intrecci fra politica e affari in Italia, è finita al centro di indagini giudiziarie complesse, condotte dal sostituto procuratore di Potenza Henry John Woodcock e, soprattutto, da Luigi De Magistris. Nell’atto di accusa del sostituto di Catanzaro vengono passati in rassegna fatti specifici, alcuni di non poco conto: dal sequestro di 3,8 milioni di euro al fratello e al padre di Roberto Mercuri su un treno diretto in Lussemburgo, al versamento di 370 mila euro che la Pianimpianti avrebbe fatto alla Global Media, ritenuta, attraverso Cesa, il polmone finanziario dell’Udc. Un teste, riferendosi agli appalti dei depuratori in senso lato, ha detto inoltre del sistema in uso delle tangenti, stabilite nella misura dal 3 al 7 per cento, equamente divise fra la Calabria e Roma. In conclusione, l’accusa ha presentato la società di Mercuri come la “cassaforte” di una associazione finalizzata all’illecito, ma l’inchiesta, che come è noto è passata di mano, è stata largamente archiviata. Cosa c’entra però tutto questo con gli inceneritori in Sicilia? In apparenza nulla. Pianimpianti, nei raggruppamenti guidati dal gruppo Falk, reca una presenza del tutto simbolica, con quote dello 0,1 per cento. Nell’affare ha guadagnato in realtà un rilievo sostanziale per quanto è avvenuto, in via assolutamente privata, dopo le aggiudicazioni del 2003. Le società Pea, Platani e Tifeo, l’1 luglio 2005 hanno commissionato infatti proprio all’impresa di Mercuri, in associazione con la Lurgi di Francoforte, la fornitura, chiavi in mano, dei tre inceneritori, per un importo complessivo di mezzo miliardo di euro, che costituisce, a conti fatti, la fetta più grossa, più immediata, quindi più tangibile, dell’intera posta in palio. È il caso di sottolineare in ultimo che pure il sodalizio Pianimpianti-Lurgi è connotato da un iter mosso, antecedente e successivo alla firma dei contratti con Actelios-Elettroambiente. Le due società sono finite sotto inchiesta nel 2005 per un giro di tangenti connesse alla costruzione dei due termovalorizzatori di Colleferro. Compaiono altresì nell’inchiesta Cash cow, ancora in corso, che nella medesima area laziale ha coinvolto, fra gli altri, decine di politici. A questo punto, dal momento che sono state disposte nuove gare, si tratta di capire cosa potrà avvenire delle intese sottoscritte a partire dal 2003. Di certo, le società aggiudicatarie hanno guadagnato una posizione favorevole. Da titolari dei cantieri, hanno ripreso a beneficiare infatti del “Cip6”, malgrado il blocco di ogni attività dal 2007. Otterranno infine il mega risarcimento che reclamavano, di 200 milioni di euro appunto, pur avendo effettuato nei tre siti lavori esigui, solo di recinzione e movimento terra. Dopo la firma dell’accordo, regna quindi un curioso ottimismo. Prova ne è che i titoli Falck hanno avuto in Borsa rialzi del tutto anomali, lontanissimi dai trend dell’attuale recessione. Ma quali giochi vanno facendosi? La cifra della penale, che evoca un calcolo complesso, di certo costituirà un forte deterrente alla partecipazione di nuove compagini. Nel caso in cui la gara dovesse andare a vuoto, l’affidamento diretto agli attuali concessionari, a trattativa privata, potrebbe essere quindi un esito “inevitabile”. Ed è la stessa Falck a dare conto di intese in tal senso con l’Agenzia regionale, nella relazione semestrale del giugno 2008. Per motivi di opportunità potrebbe prevalere tuttavia una seconda soluzione: il ritorno in gara, direttamente o in forma mimetica, delle imprese già aggiudicatarie, che finirebbero per pagare a sé stesse la penale, per il ripristino dei patti. In ambedue i casi, come è evidente, risulterebbe eluso il pronunciamento della Corte di Giustizia Ue.

Tratto da Dialogos - Circolo ARCI Corleone

Referendum x legge truffa

giovedì 11 giugno 2009

Dolce Enrico - 25 anni dopo

Solo un grande partito può fermare questa destra

Ancora una volta mi ritrovo a mettere nero su bianco le mie personali riflessioni sulla sinistra (e sul centro-sinistra). Nell’ambito dello schieramento progressista, come è noto, il PD è in forte difficoltà anche se il risultato è notevolmente al di sopra dei pronostici sondaggistici. Un numero significativo di elettori non ha ritenuto di riconfermare il proprio voto al PD. Malgrado ciò, le due liste che si collocano alla sinistra del Partito Dmocratico, riescono ad intercettare questi voti solo marginalmente. Certamente la scarsità di risorse e di spazi nei media è stata determinante. Tuttavia non si può negare, a mio avviso, un fatto politico: sia Sinistra e Libertà che (a maggior ragione) la lista neo-comunista, si sono dimostrate inadeguate nei confronti delle necessità e dei desideri del popolo di sinistra.
Per quanto riguarda la lista di Ferrero, Diliberto e Salvi, non c’è molto da dire: concordo con Soro, il quale afferma che questi dirigenti (e quest’area della sinistra) hanno fatto proprio il vessillo della politica di testimonianza. Scelta sacrosanta e legittima, ma per quanto mi riguarda, completamente inutile. Le dichiarazioni di Ferrero sulla creazione di un polo di sinistra alternativo al Partito Democratico mi sembra un delirio politico. Infatti, ritengo che oggi in Italia si possa volere creare una formazione alla sinistra del PD, ma che abbia un progetto politico: allearsi con il resto del centro-sinistra, quindi in primo luogo con il PD. Siamo tornati ai tempi di Democrazia proletaria che lottava contro il PCI molto di più di quanto non facesse contro i moderati del tempo (e del resto Ferrero proviene da DP).
Sulle alleanze all’interno del Centro-Sinistra, una grossa novità viene proposta da Giovanna Melandri, la quale superando l’infausta e miope logica veltroniana dell’autosufficienza, mette in campo un nuovo concetto: quello di un cantiere da fare in comune tra PD ed altri partiti dell’area progressista, di cui Sinistra e Libertà è parte integrante. Questa è un’idea che, a mio avviso, potrà avere parecchi sviluppi.
Credo e spero che Nichi Vendola voglia intraprendere il percorso aperto dalla Melandri e che non si perda in autoincensamenti, così come hanno fatto altri dirigenti di Sinistra e Liberà che hanno osannato il risultato ottenuto e dichiarato che il futuro della nuova sinistra è radioso (in che pianeta vivono costoro?).
Soro e Melandri hanno ragione ad invitare SL ad allearsi con il PD per ricostruire un progetto di governo di un nuovo centro sinistra (in realtà Melandri fa intendere proposte più coraggiose).
Ho fatto riferimento ai due politici del PD, in quanto essi esprimono il percorso politico fatto da me in questi ultimi mesi. Ho vissuto questo periodo di campagna elettorale sentendomi sempre più stretto all’interno di Sinistra democratica (e di Sinistra e Libertà), anche se mi aveva entusiasmato lo start up di questo raggruppamento. Man mano che si avvicendavano i giorni, che seguivo le dichiarazioni politiche di SL, mi rendevo sempre più conto dell’inadeguatezza e dei limiti di questo raggruppamento. Prima di andare al voto, avevo già maturato il bisogno di prendere quella decisione che ho ufficializzato in data odierna: le dimissioni dal Coordinamento Provinciale di SD e dallo stesso movimento di SL. Di tutti i manifesti elettorali del PD ne ho apprezzato solo uno, quello che recitava il seguente slogan: solo un grande partito può fermare questa destra. Mi è piaciuto perché rispecchia il mio pensiero; prima del week end elettorale avevo già deciso: ho votato PD (preferendo tre candidati di eccellenza: Borsellino, Tripi e Crocetta). Convinto nella veridicità dello slogan citato, ho deciso di aderire al progetto del PD, pur essendo convinto che questo partito ha bisogno di un profondo cambiamento

lunedì 8 giugno 2009

Analisi del voto a botta calda.


I risultati di questa consultazione europea non sono stati così scontati come sembra. Le forze del centro sinistra rappresentate in parlamento(PD+IDV+Radicali) sostanzialmente tengono, passando dal 37,6 delle politiche del 2008 al 36,5, sebbene la distribuzione all’interno di queste forze risulti essere profondamente mutata. La sinistra radicale + i socialisti, passano dal 4,1 al 6,7% pur non riuscendo a superare la soglia di sbarramento per via della divisione in due liste. Complessivamente la somma algebrica di tutte le forze della vecchia unione non solo tengono ma incrementano la loro percentuale (dal 41,7 al 43,2%).
L’Unione di Centro pur mantenendo sostanzialmente i voti guadagnati alla politiche, aumenta il proprio peso specifico percentuale, per via dell’astensionismo (passa dal 5,6 al 6,5%).
Per quanto riguarda il centro destra esso complessivamente arretra sia percentualmente (dal 46,8 al 45,5%) che in voti assoluti (dai 17 ai 14 milioni) e ciò è dipeso esclusivamente da una emorragia del PDL.Riguardo le singole forze politiche, si è detto che i due vincitori indiscussi siano stati la lega e IDV. In reltà il discorso è valido soltanto per il partito di Di Pietro, in quanto la Lega mantiene i voti del 2008 ed anche in questo caso, l’aumento del peso percentuale è determinato dal maggiore astensionismo. Per UDC e Lega, quindi, si può affermare che esse non siano state intaccate dal significativo astensionismo registrato in queste consultazioni. Italia dei valori, invece, vede incrementare la propria dote elettorale di 800.000 voti e raddoppia il proprio peso percentuale. Di Pietro, in realtà può essere considerato, il solo vero vincitore di questa tornata elettorale.
Interessante risulta (almeno da un punto di vista numerico) il risultato raggiunto complessivamente da Sinistra e Libertà, Comunisti e Radicali che nel complesso prendono il 9%.
Per quanto riguarda il PD, esso perde 4 milioni di voti. Ma in realtà, considerando i voti dei radicali supera di poco l’emorragia del PDL. Con una grande differenza: un milione e seicentomila voti rimangono all’interno del centro sinistra (Di Pietro e Sinistra radicale). Inoltre i voti persi da PD+IDV+Radicali risultano essere pari a 2 milioni, contro i 3 milioni di voti persi da PDL+lega.
Il dato del PD, non è da considerare una disfatta elettorale in quanto i sondaggi erano stati molto più severi della realtà elettorale. Bisogna non sottovalutare la capacità di recupero che ha avuto questo partito sebbene parte del proprio elettorato abbia preferito Di Pietro (considerato più incisivo nell’opposizione a Berlusconi) ed il voto utile dato a radicali e liste della sinistra finalizzato al superamento della soglia di sbarramento).
Pesante, invece, risulta la situazione del PDL in quanto era quotato attorno al 40% e l’obiettivo sbandierato da Berlusconi era il 45%. Un voto che non può che essere letto come una sconfitta personale del Capo del Governo. Come scrivevo qualche tempo fa, l’imperatore (finalmente) è nudo. Il suo splendore inizia ad offuscarsi sebbene la maggior parte dell’informazione sia ad esso asservita.
Su questo bisognerebbe fare una valutazione a se stante, ma di sicuro in questa sede deve essere sottolineato un fatto: il PD è in difficoltà ma il PDL soffre anch’esso. I due partiti principali, sono stati i veri bersagli dell’astensionismo. Nel caso del PDL, come dicevo, dipende dalle pecche politiche e personali di Berlusconi e dall’incapacità di questo governo e di questa maggioranza nel gestire la crisi, il fenomeno dell’immigrazione ecc. Nel caso del PD ciò dipende da un’insoddisfazione diffusa dei propri elettori sulla politica spesso poco chiara e poco decisa, ma ciò sarà argomento di un mio ulteriore articolo sulla condizione della sinistra dopo il voto di giugno.
Per quanto riguarda i due partiti della sinistra radicale, infine, ritengo che questa volta sia stata posta una pietra tombale sia sul progetto di una sinistra laica e senza aggettivi che sulla costituente comunista. I comunisti, sempre più arroccati nella loro deriva identitaria e Sinistra e Libertà alla perenne ricerca di un orizzonte politico che non riesce a trovare. Certo l’ostracismo televisivo contro le piccole formazioni e la scarsità di mezzi ha contribuito al mancato raggiungimento della soglia elettorale. Ma il problema di fondo è politico. Chi ha capito in cosa si diversificavano le due formazioni della sinistra radicale (a parte nome e simbolo)? Quella sinistra che vuole stare dalla parte dei deboli è sempre più un club elitario autoreferenziale la cui utilità al Paese è dubbia e discutibile. E questo è un discorso che con sfumature diverse riguarda tutte e due le formazioni nate dal disfacimento di Sinistra Arcobaleno. Di contro i comunisti si ostinano a porsi come alternativa al PD e non come interlocutori con l’ambizione di contribuire a spostarne a sinistra la linea politica e con la lucidità del senso del compromesso inteso come sintesi e mediazione tra diverse posizioni. Il Paese, in modo convulso, caotico e scomposto, sta iniziando a volere un cambiamento ma sembra proprio che nessuno sia in grado di soddisfare e coltivare questo nascente bisogno.